Caporal
Maggiore Bersagliere
Alfredo
Aguzzi, di Roma
LI
battaglione A.U.C. 3a Compagnia motociclisti.
La sera del 7 dicembre del 1943, raggiunse le pendici di Monterotondo per l’attacco previsto il giorno seguente verso le colline di Montelungo. Sotto un pesante bombardamento aereo e di mortai si riparò con gli amici Bersaglieri nella zona del monte tenuta dagli americani fin dai primi giorni di novembre. Fu trafitto da una scheggia che si conficcò nel cuore e lo uccise all’istante. Fu il primo caduto del Battaglione, il primo caduto della Battaglia di Montelungo uno dei primi caduti del Secondo Risorgimento Italiano.
“era sdraiato tra i cespugli accanto a me e Gianni; parlando sottovoce perchè il nemico era vicino, si diceva convinto che dopo l’attacco del raggruppamento i bersaglieri sarebbero arrivati in 10 giorni a Roma, la sua città. Sarebbe andato sul lungotevere e, chiamata la sua ragazza alla finestra, le avrebbe detto di aspettarlo mentre andava a casa a salutare i suoi e “mettersi in borghese”. Ad un tratto si udì uno scoppio seguito da un sommesso lamento, “ahi”, come se Aguzzi fosse stato punto da un insetto. Gli chiesi cosa fosse accaduto, ma egli non rispondeva. Per sollecitarlo gli toccai il braccio destro e lo sentii inerte. Era morto così in un attimo, mentre sottovoce descriveva il suo felice ritorno a Roma. Una scheggia di mortaio gli aveva trapassato il braccio sinistro e si era conficcata nel suo cuore ventenne. Spaventati e sgomenti eravamo rimasti ammutoliti e trovammo un pò di voce solo per chiamare i portaferiti, che nella notte avevano raccolto con le barelle altri bersaglieri della nostra compagnia feriti. Sentii crescere dentro di me un'impetuosa collera. Per la prima volta avvertivo il nascere il sentimento assai simile all'odio per il nemico, mi sentivo capace di uccidere chi aveva stroncato la vita di quel ragazzo innocente che sognava solo di tornare a casa, che non aveva mai sparato nemmeno un colpo contro i tedeschi".
Così descrive la sua morte Rosolo Branchi
Bersagliere AUC della 3a Compagnia:
“era sdraiato tra i cespugli accanto a me e Gianni; parlando sottovoce perchè il nemico era vicino, si diceva convinto che dopo l’attacco del raggruppamento i bersaglieri sarebbero arrivati in 10 giorni a Roma, la sua città. Sarebbe andato sul lungotevere e, chiamata la sua ragazza alla finestra, le avrebbe detto di aspettarlo mentre andava a casa a salutare i suoi e “mettersi in borghese”. Ad un tratto si udì uno scoppio seguito da un sommesso lamento, “ahi”, come se Aguzzi fosse stato punto da un insetto. Gli chiesi cosa fosse accaduto, ma egli non rispondeva. Per sollecitarlo gli toccai il braccio destro e lo sentii inerte. Era morto così in un attimo, mentre sottovoce descriveva il suo felice ritorno a Roma. Una scheggia di mortaio gli aveva trapassato il braccio sinistro e si era conficcata nel suo cuore ventenne. Spaventati e sgomenti eravamo rimasti ammutoliti e trovammo un pò di voce solo per chiamare i portaferiti, che nella notte avevano raccolto con le barelle altri bersaglieri della nostra compagnia feriti. Sentii crescere dentro di me un'impetuosa collera. Per la prima volta avvertivo il nascere il sentimento assai simile all'odio per il nemico, mi sentivo capace di uccidere chi aveva stroncato la vita di quel ragazzo innocente che sognava solo di tornare a casa, che non aveva mai sparato nemmeno un colpo contro i tedeschi".
La mamma di Aguzzi
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