E venne il giorno dell’onore, era il 10 novembre del 1943, Monterotondo, a quel punto dei combattimenti, era difeso da tre sottodimensionate compagnie del 3° Btg. 30° Rgt. della Terza Divisione Americana.
Una
delle tre compagnie, la L, quella di Britt, era posizionata in basso e ridotta
a soli 55 uomini, dei 200 di cui era composta a Salerno e doveva controllare e
difendere una zona boscosa di circa 550 metri posta sul versante orientale
della collina.
Il
comandante del battaglione, il tenente colonnello Edgar C. Doleman, ricorda che
il sistema difensivo era talmente esteso e presidiato da pochi uomini che era
impossibile mantenere un contatto attraverso il bosco ed i pendii, questo era
possibile solo con l’utilizzo di pattuglie, esposte al tiro degli assalitori, o
con l’ascolto dei messaggi gridati tra le varie postazioni.
Il
nemico iniziò ad avanzare verso le postazioni americane costringendo i
prigionieri americani a correre di fronte a loro e riuscendo a trovare un varco
tra le compagnie K e L che permetteva loro di attaccare al fianco la compagnia
L, isolandola dal resto del battaglione.
Il
caporale John Syc, ricordando quei giorni disse: “ non riuscivamo a vedere gli
americani, ma li sentivamo gridare di non sparare”.
Quando
i prigionieri americani erano ormai a 50 mt e continuavano a gridare “Don’t
shoot!” (non sparate!) il comandante della compagnia L, il tenente Britt, gridò
ai prigionieri “We’re going to shoot! Fall flat! You won’t be hurt” “stiamo per
sparare, gettatevi piatti a terra, non vi farete male!”
Il
breve ritardo nell’apertura del fuoco da parte degli americani, per capire la
situazione ed avvisare i prigionieri usati come scudi umani, aveva permesso ai
Panzergrenadier di cogliere
l'opportunità che cercavano:
avvicinarsi il più possibile alla compagnia L per ridurre le perdite ed
infliggere maggiore danno al nemico.
Con
le due parti molto vicine lo scontro sembrava dovesse terminare con un corpo a
corpo, tanto che entrambe le fazioni misero la baionetta sui fucili.
I
tedeschi impegnati nell’attacco erano più di cento e fu a quel punto che Britt,
capendo che la sua compagnia sarebbe stata tagliata fuori dal resto del
battaglione e poi annientata, uscì dalla sua buca e iniziò a correre da una
postazione all’altra incoraggiando i suoi uomini a tenere duro e sparare per
tenere costantemente sotto il tiro le postazioni tedesche, che nel frattempo,
avendo capito tutto, avevano iniziato a prendere di mira Britt, non riuscendo a
colpirlo data la sua velocità ed i continui cambi di traiettoria; specialità in
cui Britt era famoso nei Detroit Lions.
Durante
l’azione Britt fu trafitto al costato da un proiettile e ferito altre tre volte
da schegge di mortaio, ma nonostante il dolore, il sangue che gli copriva il
petto, il viso e le mani, riuscì a lanciare sul nemico trentadue granate a
frammentazione, sparare con il suo fucile e tutte le armi che trovava in terra
o nelle buche di soldati uccisi fino a consumare un impressionante numero di
colpi. Uccise cinque tedeschi e ne ferì
molti altri, riuscendo a liberare una parte dei soldati americani prigionieri,
facendo a sua volta quattro prigionieri tedeschi.
Fred
E. Marshall ricorda che Britt correva da una parte all’altra sparando ad ogni
rumore e ad ogni figura in movimento, sparendo nel bosco per poi riapparire una
volta finite le munizioni, lo ricorda prendere una carabina M1 da un soldato
gravemente ferito e continuare a fare fuoco con quella e lanciare granate nel
bosco mentre correva cercando i tedeschi.
Una
scena rimase impressa a Marshall, fu quando vide Britt, in mezzo al fuoco
tedesco a pochi metri da loro, lanciare granate tutto intorno a lui senza
essere colpito dalle stesse schegge; le bombe scoppiavano intorno a lui e lui
correva e continuava a lanciarle.
Il
sergente James G. Klanes ricorda di averlo visto partire e gettare 10/12
granate contro i tedeschi, che gli sparavano e lanciavano a loro volta granate
e vederlo poi tornare riprendere altre granate e ripartire in velocità, per
tutto il combattimento.
In
una delle corse di rientro alle postazioni americane lo videro con il viso il
petto e le mani coperte di sangue, per via di tre bombe a mano tedesche
lanciate su di lui e che era riuscito a rilanciare indietro facendole scoppiare
lontano da lui, ma rimanendo colpito dalle schegge.
Quando
l’assalto iniziale stava per vacillare ed il restante della forza tedesca era
ancora davanti alle loro posizioni, ma psicologicamente provata per la difesa
che stava incontrando; Britt chiamò a raccolta i suoi uomini incitandoli a
seguirlo nel bosco per attaccare e ripulire la minaccia.
Il
Caporale Eric B. Gibson di Chicago, ed il soldato Schimer di New York lo
seguirono; Britt infondeva coraggio, sembrava immortale.
Gibson
ricorda che mentre Britt dava le indicazioni per l’azione la borraccia era
trafitta da fori di proiettili, la camicia era ricoperta d’acqua, sudore e
sangue, il suo porta binocolo era tutto trafitto da schegge e fori di
proiettili.
A
battaglia ultimata furono contati 14 morti tedeschi su quel lato della
montagna, molti di loro uccisi da Britt.
Per
tutta la mattina Britt ed i tedeschi nel bosco si scambiarono fuoco da una
distanza di 15 metri, sembrava li cercasse tra i rovi per attaccare battaglia.
Alcuni
dei superstiti di quello scontro dissero che Britt, quella mattina in quel
bosco, era un esercito di un uomo solo.
Le
sue azioni incisero in maniera fondamentale sulla ritirata tedesca;
probabilmente, se avesse fallito, Monterotondo sarebbe stato riconquistato.
Quando
nel pomeriggio arrivarono i rinforzi, Britt tornò ancora nel bosco per cercare
e colpire il resto dei tedeschi. Gibson ricorda ancora che Britt annientò una
postazione di mitragliatrici che stava per colpirlo, salvandogli la vita.
Quando
i rinforzi arrivarono, dei cinquantacinque uomini iniziali di Monterotondo,
oltre a Britt ne erano rimasti solo quattro; i tedeschi lasciarono sul campo
sessantacinque tra morti e feriti.
Dopo
il consolidamento delle posizioni, il comandante del battaglione, il Col.
Doleman chiese una relazione a Britt e osservandolo sanguinare in quattro
diversi punti gli comunicò di farsi vedere subito; ma Britt disse che non era
nulla, il colonnello gli dovette ordinare di andare al punto di soccorso.
Arrivato
al posto di medicamento Britt disse all’ufficiale medico, il capitano Roy
Hanford, “prosegui con le cure degli altri feriti, ho solo un piccolo
graffio, quando hai tempo lo guardi”.
Questo
graffio, disse poi il capitano medico, era una ferita di 2 cm di larghezza
profonda fino al muscolo, senza contare le schegge sul viso e sulle mani
lasciate dalle granate tedesche.
Vedere
il comportamento di Britt, disse il Capitano medico, era una fonte di forza e
ispirazione sia per i feriti che per il personale medico, provato e stanco da
quei giorni di combattimento.
Dopo
il suo breve passaggio nell’infermeria si sentiva che tutti volevano dare di
più a costo di sopportare il dolore.
Quando gli chiese se voleva andare in ospedale Britt rispose “ No, Doc, voglio risalire su quella collina ed aiutare i miei ragazzi”.
La sua cura fu un
po’ di polvere sulfamidica e un bel po’ di bende. Britt in quell’occasione non
mostrò un pezzo di bomba a mano incastrato nel muscolo pettorale, lo fece
diversi giorni dopo. Uscì dalla tenda e riprese a salire sulla collina di
Monterotondo.
Il Tenente Britt, alla fine dei combattimenti, ricevette la nomina alla Medal of Honor, la più alta decorazione militare assegnata dal Governo degli Stati Uniti.
Per
Britt ci fu anche la promozione a Capitano sul campo di battaglia.
Il nipote di Maurice, Chris Britt, è tornato per la prima volta sui luoghi dove il nonno ottenne la medal of honor, oggi è un socio dell'avamposto 16 della sezione Italiana della Terza Divisione di Fanteria.
Una grande famiglia, alla quale ci sentiamo molto vicini e speriamo di rivederlo presto per tornare sui luoghi che videro quel gigante trionfare da solo contro le forze del male.
Sulla stele in ricordo di Maurice Lee Britt, in compagnia del nipote Chris
Il primo incontro con Chris
Sulle stele dedicata alla 36ma Texas Division
Chris insieme ai rappresentanti del LI° Btg Bersaglieri "Montelungo 1943"
Chris e Victor Tory Failmezger, nipote di Peter Welch,
comandante di un M10 del 601° Tank Destroyer
Riunione annuale dell'associazione a Cassino
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