Il
tenente colonnello Jack Toffey disse “la strada per Roma è lunga e per molti aspetti
è come la strada per l’inferno, buone intenzioni incluse”. Toffey non comandava
che uno dei cento battaglioni alleati sparsi fra il tirreno e l’adriatico, ma
la sorte sua e dei suoi uomini era identica a quella di tutto l’esercito. Il
tenente colonnello era il prototipo dei giovani comandanti che avevano combattuto
in Marocco, in Tunisia e in Sicilia, così come la sua unità; il 2° battaglione
del 7° reggimento di fanteria della 3° Divisione di Fanteria; era un esempio
di tutte le unità che stavano cercando di snidare i tedeschi dalla linea
d’Inverno. Toffey era contento di essere di nuovo sotto il comando di Truscott
e orgoglioso di far parte della terza divisione, “la migliore in occidente”
scriveva; e del 7° reggimento in cui avevano militato Marshall ed Eisenhower.
“La vita è buona” scriveva alla moglie Helen a Columbus. Arrivato in Italia
nelle ultime ore della battaglia di Salerno si era sentito “di nuovo un vero
soldato”. George Biddle che per un mese lo seguì e ne raccolse le impressioni
oltre che disegnare bozzetti e dipingere acquarelli, scrisse di lui “era un
uomo instancabile, sembrava portasse sulle spalle l’intero battaglione, di
mente acuta, sottile e di un umorismo virile, salace, tipico degli americani.”
Era onnipresente: incitava i suoi uomini ad avanzare, dirigeva il fuoco
dell’artiglieria, interrogava i prigionieri, portava via i morti e i feriti.
Avanzarono dopo Salerno fino al fiume Volturno, lo superarono dopo aspri
scontri, risalendo la statale 6 Casilina che i soldati chiamavano “la strada
della vittoria”. Marciavano con fatica. I contadini piangevano i loro morti o
frugavano fra le macerie della propria casa per recuperare una pentola di rame
o una bambola di pezza. Si lasciarono alle spalle l’acciottolato di Liberi, di
Roccamonfina e di Pietravairano, con gente vestita a lutto e i bambini piccoli
con fogli di giornale al posto dei pannolini. Scoppiavano le mine, sparavano i
fucili e troppo spesso Toffey si chinava su un giovane morente e sussurrava:
“sta arrivando la barella. Tieni duro, ragazzo”. La sera istallavano il posto
di comando del battaglione in qualche grotta annerita dal fumo o nel solaio di
un cascinale, dormendo in terra o sulle foglie secche. Toffey dormiva con il
telefono vicino all’orecchio, pronto a rispondere se per caso lo avessero
chiamato col suo nome in codice “Paul Blue Six”. Nei suoi discorsi si domandava
come sviluppare “l’istinto di uccidere; i nostri ragazzi non sono
professionisti e bisogna condizionarli perché lo acquisiscano”. Non parlò mai
alla moglie della possibile morte più volte sfiorata in battaglia, come su
monte Costa, quando piovvero bombe intorno a lui, intento a fumare la pipa e
scrivere una lettera proprio a lei. Con il suo battaglione impararono a evitare
i crinali a coprire con il fango lo scintillio degli elmetti e delle gavette.
Tendevano l’orecchio per percepire il miagolio dei gatti, uno dei segnali
preferiti dai tedeschi. Toffey continuava a dare consigli ai suoi ragazzi
“siate vigili e resterete vivi” a degli ufficiali appena arrivati disse
“imparate a conoscere uno per uno tutti gli uomini del vostro plotone per nome
e non soltanto per i loro pregi e difetti. Abbiamo un bisogno disperato di voi.
Avrete dei subordinati meno bravi di quelli che avevate in patria. Scoprirete
che la vostra compagnia ha perso il sergente maggiore e che il sergente più
esperto del plotone è morto. Ma noi abbiamo bisogno di voi e abbiamo un lavoro
da svolgere. Che nessun ufficiale vada a letto senza avere prima controllato la
sicurezza di tutto il perimetro e che non si abbandoni né una bandoliera né una
borraccia, neanche uno spillo. Vi auguro tutta la fortuna possibile. Siamo
felici di avervi con noi. Ricordatevi che se potrò aiutarvi lo farò.” La sua
compagnia superò la linea Barbara, ma trovò una forte resistenza sulla Winter
Line. Fino a quel
punto, il battaglione aveva perso più della metà degli effettivi. Il 5
novembre, guardando i suoi soldati marciare nell’altipiano, Truscott ebbe a scrivere:
“Macilenti,
sporchi, infangati, scarmigliati, la barba lunga, le divise sbrindellate, gli
stivali logori”
A
Mignano, nella valle sotto il monte Cesima, rimase solo la pioggia a osservare
i soldati che sollevavano con i guanti i cadaveri cerei di altri soldati,
americani e tedeschi e li issavano sul rimorchio di un camion, i vivi alle prese
con i morti, finchè il veicolo non fu pieno. Fu qui che annotò:
“Vorrei
che la gente a casa, anziché pensare ai propri ragazzi come campioni di
football, li pensasse come minatori rimasti intrappolati sottoterra o che
muoiono soffocati in un incendio alto dieci piani. Vorrei che li pensasse
infreddoliti, bagnati, affamati, pieni di nostalgia e spaventati. Vorrei,
quando pensa a loro, che sentisse un nodo alla gola”
Mignano
era liberata. Toffey fu ucciso 3 giugno del 1944 a Carchitti nei pressi di Palestrina,
non vide mai Roma liberata, si fermò a poche decine di chilometri.