Sezione 16, dedicata a Floyd K. Lindstrom, Medal of Honor
Pagine
- Chi Siamo
- Attività Associazione
- Soci Onorari
- Per Iscriversi
- Unione Associazioni
- Eventi
- Le nostre Mostre
- Storia
- Le Battaglie in Italia
- Map Italy
- Foto storiche
- Memorie
- Decorati
- Video
- Monumenti
- Loghi
- La Terza Divisione Oggi.
- Wallpaper
- Centenario
- Libri
- Floyd K Lindstrom
- Maurice Lee Britt "Footsie" Medal Of Honor
- The Land of Medals - la terra delle medaglie - percorso
- La grotta di Audie Murphy
- Archivio Foto US ARMY dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti
- Company Profile update to 10 11 2023
venerdì 8 maggio 2020
giovedì 7 maggio 2020
Victory Europe Day VE Day - 8 maggio 1945 - 8 maggio 2020
75 anni fa un grande giorno per l'Europa, la missione era compiuta!
Milioni di uomini, giunti dall'altra parte del mondo si unirono ai pochi rimasti liberi in Europa fino alla lontana Russia.
Fu una lotta lunga, lenta, dispendiosa di vite umane; venne fatto fondo a tutte le risorse economiche, migliaia di città furono rase al suolo cambiando il loro volto per sempre.
Le popolazioni civili di tutta Europa subirono tutto questo, prima l'invasione, la perdita della libertà, lo stermino delle razze considerate inferiori, poi la guerra di liberazione, di nuovo casa dopo casa, città dopo città, nazione dopo nazione. L'uomo, che nei secoli precedenti aveva lottato per conquistare la libertà, stava per ritornare ad essere schiavo.
Tutto questo fu fermato da una generazione di ragazzi di vent'anni che non vissero la loro vita per come andava vissuta, che non ebbero la possibilità di diventare vecchi.
A tutti loro, a tutte le croci bianche che colorano i verdi prati dell'Europa libera, noi ogni anno, diciamo grazie!
75 years ago a great day for Europe, the mission was accomplished!
Millions of men who came from the other side of the world joined the few who remained free in Europe as far as Russia.
It was a long, slow, wasteful struggle for human lives; all the economic resources were funded, thousands of cities were razed to the ground changing their face forever.
The civilian populations of all Europe suffered all this, first the invasion, the loss of freedom, the extermination of the races, considered inferior, then the war of liberation, again home after home, city after city, nation after nation. The man, who in previous centuries had fought for freedom, was about to return to being a slave.
All this was stopped by a generation of twenty-year-old boys who did not live their lives as they lived, who had no chance of getting old. To all of them, to all the white crosses that color the green meadows of free Europe, we say thank you every year!
sabato 25 aprile 2020
25 Aprile, un piccolo contributo alla memoria
Discorso di Enrico Mattei,
capo partigiano e fondatore dell’ENI
Primo congresso della Democrazia Cristiana (Roma, 24-28
aprile 1946)
al fine di preservare il senso più profondo della memoria
collettiva.
Affinché il passare dei mesi non attenui il ricordo e la
considerazione per quell’esercito di volontari ai quali quasi esclusivamente fu
affidato — in un primo tempo almeno — l’immane compito di provare a tutti gli
italiani ed al mondo intero che il nostro popolo sa ancora amare la libertà
fino a dare la sua vita per conquistarla e per difenderla; affinché la memoria
di quanto questi nostri partigiani hanno compiuto per noi tutti, per ciascuno
di noi, non si perda fra le tante assillanti preoccupazioni di ogni genere che
opprimono oggi l’individuo e la collettività, per queste ragioni soprattutto
ritengo mio dovere prendere la parola, non nell’intento di esaltare i
combattenti del periodo eroico della guerra di liberazione — sarebbe a ciò la
mia voce insufficiente —, ma per ricordare il loro sacrificio, per ricordarlo a
me ed a tutti i presenti onde, nelle gravi cure dell’ora attuale, ci sia di
conforto, di ammonimento e di sprone a perseverare nel cammino lungo e
difficile che ancora ci resta da percorrere. Ma, a trattare della questione
partigiana, sono anche indotto per aver notato come le numerose celebrazioni
fatte nella seconda metà dello scorso anno e poi; con sempre minore frequenza,
in questi primi mesi del 1946, vennero quasi esclusivamente organizzate ed
effettuate da altri partiti politici che, come è ovvio, furono indotti a
valorizzare ed a mettere in particolare risalto l’apporto delle unità
partigiane che a tali partiti facevano capo e che da essi dipendevano. Ciò ha
forse ingenerato, nell’animo di coloro che ascoltarono tali rievocazioni e che
ne lessero i resoconti sui giornali, la convinzione che la lotta di liberazione
sia stata un po’ il monopolio di uno o due partiti politici. Noi troppo poco
parlammo, fino ad oggi, dei nostri partigiani e troppo poco ne scrivemmo, quasi
fosse la materia a farci difetto. Orbene, pur concedendo che, per la
complessità delle vicende del periodo clandestino, per il frequente
costituirsi, disciogliersi e ricostituirsi delle unità partigiane, non è
possibile dare le esatte proporzioni dei patrioti aderenti ad ogni singolo
partito, ho ad ogni modo la ferma convinzione che la conoscenza dei dati a cui
accennerò più avanti potrà servire a ristabilire più giuste proporzioni ed a
rilevare quanto la Democrazia Cristiana ed i suoi combattenti hanno fatto
perché l’Italia fosse libera e democratica. Potrà far pienamente capire a tutti
perché noi non ci sentiamo a nessuno secondi in materia di guerra partigiana, e
perché — come S.E. De Gasperi ha ben chiarito nel recente discorso di Torino —
non possiamo acconsentire ad essere “accolti” da nessuno tra le file dei
difensori della libertà. Noi fummo bensì, e siamo sempre, “al fianco” di tutti
per la difesa e la diffusione della libertà, in assoluta parità di diritti con
qualunque altro partito, come fummo a chiunque pari nel compiere il nostro
dovere. Ne abbiamo una chiara conferma in alcune frasi della lettera che il
Comandante Generale del C.V.L., Gen. Raffaele Cadorna, mi scrisse il 6 maggio
1945, in occasione della sfilata di 16 mila uomini delle formazioni
democristiane a Milano, per celebrare l’avvenuta liberazione. Dopo aver
affermato che l’opera delle formazioni della Democrazia Cristiana è stata
benemerita non solo del partito, ma della guerra partigiana in genere, la quale,
appunto per la fusione di tutte le correnti politiche nelle sue file, era
divenuta veramente nazionale, il Gen. Cadorna aggiungeva: «Questa verità è
apparsa chiaramente a tutti, oggi, nel contemplare affiancate ed affratellate
formazioni di ogni colore, ma in particolare di colore rosso ed azzurro».
Limiterò dunque la mia esposizione, necessariamente schematica, per mancanza di
tempo, a quella parte del C.V.L. a nome della quale io posso parlare e della
quale conosco, per la lunga consuetudine, tutte le lotte, tutti gli eroismi,
tutta la passione: le formazioni della Democrazia Cristiana. Prima di trattare
di queste unità di combattimento, non sarà tuttavia inutile ricordare che, se
molte delle divisioni e brigate partigiane poterono operare, tenersi in
collegamento fra di loro e con i comandi centrali, ricevere aiuti finanziari,
materiali d’equipaggiamento e di armamento, viveri, ecc., ciò fu grazie alla
collaborazione strettissima, coraggiosa, temeraria talvolta, del clero
cattolico di ogni grado e dignità, delle organizzazioni cattoliche di ogni
genere. E questo è vero non solo per i partigiani combattenti sotto l’insegna
della Democrazia Cristiana, ma anche per tutte le altre formazioni, così per le
Divisioni Garibaldine, come per le Brigate Matteotti, le Brigate Giustizia e
Libertà, e per le Formazioni Autonome. Tutte e ovunque ebbero nel sacerdote non
solo il consolatore dei feriti e dei morenti, ma anche la staffetta fedele ed
eroica; tutte ebbero nelle chiese e negli oratori il rifugio sicuro, talvolta
le sedi dei Comandi, i depositi delle armi e delle munizioni e così via. Non è
facile pensare come si sarebbe potuto organizzare e mantenere collegato
l’imponente complesso delle forze dipendenti dal C.V.L. senza questo prezioso
tessuto connettivo rappresentato dalla Chiesa Cattolica e dalle organizzazioni
religiose e laiche da essa dipendenti. Tutto ciò, senza contare la
partecipazione attiva e diretta alla lotta di decine e decine di sacerdoti:
comandanti di Divisione e di Brigata, Commissari di guerra nelle formazioni,
informatori dei Comandi Partigiani, operai fra gli operai nelle officine per
concorrere ai sabotaggi e per sorreggere la fede dei loro compagni di lavoro,
con i quali si fecero spesso deportare in Germania. Non vi è regione, non vi è
provincia che non abbia dato il suo contributo di sacerdoti morti, torturati,
arrestati e deportati. Devo ricordare, fra i tanti, Don Umberto Bracchi e Don
Francesco Delnevo, assassinati dalle SS tedesche durante il rastrellamento del
luglio 1944, nel Nord Emilia. E Don Emanuele Toso, Don Attilio Pavese, Don
Giovanni Bobbio, Don Enrico Pocognoni e tanti, tanti altri che lasciarono la
loro vita sulle montagne del nuovo calvario d’Italia, onde portare il conforto
della fede a coloro che combattevano per far sì che di fronte alla efferata
violenza di una pseudo civiltà pagana trionfasse il precetto della carità
cristiana. E come ricordare le migliaia di prigionieri alleati, di israeliti,
di perseguitati politici che riuscirono, grazie all’aiuto dei sacerdoti, a mettersi
in salvo oltre confine? Basterebbe leggere le pagine in cui Don Aurelio
Giussani condensò l’attività dell’O.S.C.A.R. (Organizzazione di Soccorso
Cattolica agli Antifascisti Ricercati), nata nel Collegio San Carlo a Milano,
per convincersi di quanto fu fatto in questo campo dallo stesso Don Giussani,
da Don Ghetti, Don Bigatti, Don Motta, Don Barbareschi, aiutati da pochi altri
collaboratori laici della Democrazia Cristiana. Non senza significato è la
lettera che il Comando Generale del C.V.L. ha inviato, in data 5-5-1945, alla
Rev.ma Superiora Generale delle Suore della Riparazione, in Milano, per
ringraziarla dell’ospitalità che il convento diede al Comando Generale stesso.
Parlando del 25 aprile 1945, la lettera dice testualmente: «In quel giorno, da
codesta Casa Generalizia, si decisero le sorti di questa preziosissima parte
dell’Italia affidata al C.V.L.». E continua: «… Un giorno gli italiani
conosceranno che da cedeste mura partirono gli ordini per la risurrezione della
Patria». Prima di chiudere questa parte introduttiva, lasciate ancora che io
chieda allo stesso Gen. Clark di valutare l’efficacia dell’azione militare
svolta dalle formazioni della Democrazia Cristiana. In una comunicazione
fattami in data 4-10-1945, il Gen. Clark riconobbe che, pur nella difficile
situazione creata dalla deficienza di armi e di equipaggiamento, le unità della
Democrazia Cristiana sono state impiegate in modo da recare “il massimo
vantaggio” agli Alleati nella loro avanzata per la liberazione del territorio
italiano. E prosegue riconoscendo altresì che il contributo dato dalle
formazioni della Democrazia Cristiana alla causa dell’Italia e degli Alleati “è
stato degno delle più alte tradizioni delle genti amanti della Libertà”. Passo
finalmente a dare una succinta relazione — a base di cifre — sulle forze della
Democrazia Cristiana nelle diverse regioni e sull’attività da esse svolta.
Chiedo venia, fin d’ora, a tutti coloro — e sono la quasi totalità — che, per
mancanza di tempo, non potrò ricordare come vorrei. Sappiano però tutti i
reparti e tutti i singoli partigiani che essi mi sono ugualmente presenti nella
mente e nel cuore, ugualmente vicini come nei giorni della lotta comune. Ma
sono decine di migliaia di figure e di azioni che balzano alla memoria. Sulla guerra
partigiana già furono scritte centinaia di volumi, altri lo saranno, e non è
nemmeno pensabile che in una breve relazione si possa far cenno di tutti gli
uomini e di tutti gli avvenimenti. Spero tuttavia che sarà possibile, in un
prossimo avvenire, far conoscere meglio, per mezzo di alcune pubblicazioni, il
contributo dato dalle singole regioni e dalle singole unità di combattimento.
Veneto
Democristiano era il Vice Comandante del Comando Regionale
Veneto del C.V.L. (il Com.te Reg.le era generalmente un militare, un tecnico,
senza determinato colore politico). 18 furono le Brigate democristiane
inquadrate nelle Divisioni del Veneto. In altre 21 Brigate i due terzi dei
componenti provenivano dalla Democrazia Cristiana. Complessivamente 14.500
uomini, che ebbero 716 morti, 493 feriti, 71 arrestati politici. Perdite
inflitte al nemico: 1.218 morti, 811 feriti e 26.700 prigionieri. L’azione di
sabotaggio di una sola brigata — la “Cesare Battisti”, della Divisione “Monte
Grappa” — ha causato al nemico: — 2.692 ore di interruzione nei trasporti
ferroviari da e per la Germania; — la distruzione di 2.030 metri di binario,
fatti saltare con cariche esplosive; — l’annientamento di 34 locomotive e di 52
carri ferroviari. La Brigata Guido Negri ha al suo attivo il disarmo di tutti i
soldati costituenti il presidio di Dolo: 150 nemici furono legati e
imbavagliati, tutte le armi della caserma sottratte. La stessa Brigata ha
effettuato il rilievo di tutte le fortificazioni della zona dell’Adige. Vennero
compilati i “lucidi” con l’indicazione di tutti i dati di dettaglio, compreso
perfino il numero delle cassette di munizioni contenute nelle riservette, ed
inviati poi al Comando Superiore Alleato, attraverso la Svizzera. Questi dati,
che si riferiscono a due sole Brigate, possono dare una chiara visione di
quella che è stata l’attività svolta dal complesso delle forze democristiane
venete. Non voglio terminare questo breve cenno sulla resistenza veneta senza
ricordare la Divisione democristiana Domenico Rossetti, costituita dal C.L.N.
di Trieste e che raggruppava oltre mille armati. È doveroso ricordare,
l’attività di Don Marzari — presidente del C.L.N. di Trieste — di Guidi, Monti
e Marzi. Quest’ultimo, prima arrestato e torturato dai nazifascisti, poi,
riuscito a fuggire, catturato dagli slavi e deportato in Jugoslavia. E tutti i
caduti in combattimento: Di Peco, Dussi, Federici ed altri, che non possono
essersi sacrificati invano. Come risultato pratico, insorgendo tre giorni prima
dell’arrivo delle bande di Tito, hanno impedito ai tedeschi di far saltare il
porto, già da tempo minato. Oggi, Trieste è una città quasi intatta. E chiudo
rievocando un eroe padovano: Luigi Pierobon. Comandante di una Brigata,
distintosi in centinaia di azioni rischiose, fu fucilato il 17 agosto 1944 dopo
di essere stato arrestato nel tentativo di raccogliere in pianura altre forze
per le formazioni partigiane. Agli sgherri che non gli concessero la
fucilazione al petto disse: «Siete servi venduti; noi moriamo per l’Italia». La
scarica lo colpì mentre stringeva nella mano la corona del Rosario, quella
corona che la mamma gli aveva dato e che, nel testamento orale fatto al
confessore, egli lasciò ancora alla sua mamma.
Lombardia e provincia di Novara
II primo rappresentante della Democrazia Cristiana in seno al
Com.do Gen.le del C.V.L. fu la nobile figura di Galileo Vercesi, valoroso
pioniere dell’antifascismo, arrestato nel marzo 1944 e fucilato il 12 luglio
dello stesso anno presso Fossoli. È stato proposto per la medaglia d’oro alla
memoria. Democristiani furono anche il Vice Com.te della Piazza di Milano ed il
Capo di S. M. del Comando Regionale Lombardo. Fra le formazioni democristiane
della regione, meritano particolare menzione: 1) II Raggruppamento Divisioni
“Di Dio”, costituito da nove Divisioni su 44 Brigate e da 2 Brigate autonome,
al comando di Alberto (al secolo Dott. Eugenio Cefis) e di cui era Commissario
Politico Luciano Vignati. Il totale degli appartenenti a queste unità ammontava
a 16 mila uomini. Le loro perdite furono: 512 morti, 630 feriti, 91 prigionieri
e arrestati per motivi politici. Inflissero al nemico: 617 morti e 397 feriti.
Catturarono 9.465 prigionieri. Degno di nota fu inoltre il S.I.M.N.I. (Servizio
Informazioni Militari Nord Italia), organizzato da Giorgio Aminta e che, per
mezzo di quattro stazioni radio alleate, servite dagli uomini del Com.te Ike,
trasmise al Comando Superiore Alleato circa 350 messaggi al mese, fino
all’aprile 1945. Il Maresciallo Alexander inviò un telegramma di plauso al capo
di detto servizio, per le brillanti prove fornite. 2) Raggruppamento “Brigate
del Popolo”, al comando di Franco Marra. Comprendeva tre divisioni su 29
Brigate, per un totale di oltre 7 mila uomini. Ebbe 37 morti, 56 feriti, 39
arrestati politici. Inflisse al nemico 188 morti e 124 feriti. Furono catturati
2.475 prigionieri. Queste brigate svolsero un cospicuo lavoro di collegamento,
di sabotaggio, di propaganda e contropropaganda. Stamparono e distribuirono in
numerose località della Lombardia giornali clandestini e manifesti
antitedeschi. Nei giorni della liberazione, immobilizzarono le unità corazzate
tedesche transitanti nella zona, fino all’arrivo delle colonne corazzate
alleate. 3) Nelle zone di Brescia, Bergamo, Como e in Valtellina, i Padri
Filippini della Pace, di Brescia, sostennero fino dal loro nascere numerose
formazioni di partigiani che diedero vita, nell’estate del 1944, a ben 25
Brigate di Montagna. Esse, pur conservandosi rigorosamente apolitiche,
accolsero nelle loro file un numero sempre crescente di giovani provenienti
dalle organizzazioni cattoliche. Tale numero ammontava, nel periodo
insurrezionale, a circa 5.500 uomini. Le perdite di queste Brigate — che erano
rappresentate in seno al Comando Generale del C.V.L. dall’esponente della
Democrazia Cristiana — furono: 61 morti, 45 feriti e 18 prigionieri. Al nemico
inflissero 150 morti e 224 feriti. Segnalo l’opera svolta in seno a queste
formazioni ed a favore delle stesse dal Dott. Sartorio Claudio e dalla Prof.
Bianchini, i quali diressero successivamente anche l’Ufficio Assistenza alle
famiglie dei patrioti caduti, presso il Comando Generale del C.V.L. dedicando
la loro attività anche al giornale “Il Ribelle”. Numerosi furono i sacerdoti
che si distinsero per la loro attività, subendo arresti e deportazioni, per
aiutare questo movimento partigiano: Padre Manziana. Padre Rinaldini, Don
Giacomo Vender, Don Nomolli, Don Almici, Mons. Fossati, Don Tedeschi il quale
dopo essersi rifugiato a Milano perché ricercato accanitamente, non tralasciò
di collaborare dal suo malsicuro nascondiglio al giornale clandestino “Il
Ribelle”. E Don Carlo Comensoli, Capo di S. M. della Divisione “Tito Speri”;
Don Milesi, Comandante Militare della Val Brembana e proposto per la medaglia
d’argento al v.m., ecc.
Piemonte
Oltre alle formazioni del Novarese, già citate perché facenti
parte del raggruppamento Divisioni “Di Dio”, dipendente dal Comando Regionale
della Lombardia, operavano in Piemonte tre Divisioni democristiane, fra cui la
Divisione “Patria” e l’VIII Divisione Vall’Orco e tre altre Divisioni composte
quasi totalmente di elementi democristiani ma inquadrate nel Raggruppamento
Autonomo del Comandante Mauri. In totale circa 6.500 uomini. Ebbero
complessivamente 127 morti e 182 feriti. Inflissero al nemico 217 morti e 165 feriti.
Furono da essi catturati 1.911 prigionieri. Numerosi i partigiani proposti per
ricompense alla memoria ed al valore. La figura del patriota Laurenti Battista,
proposto per la medaglia d’oro alla memoria, è sufficientemente caratterizzata
da questo episodio: dopo numerose azioni di particolare audacia, che lo fecero
promuovere per meriti eccezionali al grado di Comandante di Brigata, si
presenta con 8 uomini armati di sole pistole, alla Caserma della Direzione
d’Artiglieria di Torino; disarma le sentinelle e l’intero corpo di guardia,
sorpresi da tanta audacia; tiene in scacco un centinaio di uomini fra cui il
Colonnello Comandante, e si procura un forte carico di armi per la sua
formazione. Sopravvenuti rinforzi nemici fa partire i compagni sull’automobile
e, a piedi, copre la loro ritirata. Tornato in Torino, alcuni giorni dopo, per
altra impresa del genere, è riconosciuto, immediatamente arrestato e, contro
ogni legge di guerra, fucilato sul posto. La Divisione “Patria” — comandata dal
Prof. Edoardo Martino (Malerba) — già protagonista dell’eroica resistenza
opposta alle forze tedesche a Cantavenna nel novembre 1944 — per vendicarsi
della quale il nemico distrusse sessanta delle centoquaranta case del paese, e
prelevò ostaggi, fucilò civili, bombardò la Chiesa Parrocchiale ed il Cimitero
— si meritò dal Magg. Leach, Capo della della Delegazione Militare Alleata per
la provincia di Alessandria, ove fu paracadutato nel mese di marzo 1945, un
lusinghiero elogio. Termino questo rapido sguardo alle formazioni partigiane
del Piemonte dicendo che ad esse spetta il merito di aver liberato la regione e
salvato le centrali elettriche e i grandi stabilimenti di produzione, prima
ancora che le truppe alleate arrivassero nella zona. Ad onore dei partigiani
piemontesi voglio ancora ricordare che, nella sfilata del 6 maggio 1945, a
Torino, essendo presenti osservatori delle Missioni Militari Alleate, i
partigiani di tutte le formazioni rinunciarono a portare i distintivi di
partito (fazzoletti azzurri, rossi, ecc.), pur ad essi tanto particolarmente
cari, e sfilarono come unica imponente massa, da nessuna ideologia politica
divisa, unita in blocco indissolubile dallo stesso amore per l’Italia. A tale
proposito mi piace rammentare come sempre la Democrazia Cristiana abbia avuto
la tendenza a proporre e ad incoraggiare, per mezzo dei suoi rappresentanti in
seno al Comando Generale del C.V.L., la riunione di tutte le formazioni
partigiane in un unico esercito, superando ogni distinzione politica e
qualunque desiderio di autonomia. A questa tendenza unificatrice la Democrazia
Cristiana, che pure non aveva interesse politico alcuno a fondere le sue
formazioni, tanto numerose, con quelle degli altri partiti, non tutte e non
sempre ugualmente numerose, fu indotta dall’esperienza dei primi mesi di lotta
e dalla convinzione che solo un comando unificato e la attenuazione — poiché la
soppressione era impossibile — delle divergenze di carattere politico, potevano
potenziare ulteriormente l’azione militare. Posso affermare quindi, con sicura
coscienza, che fu anche merito della Democrazia Cristiana se notevoli risultati
vennero conseguiti a tal riguardo.
Liguria
Non è possibile, per la Liguria, citare formazioni di
partigiani totalmente democristiane, poiché nelle Divisioni e nelle Brigate
liguri militavano, frammisti, partigiani di ogni colore politico. Ne la
Democrazia Cristiana ravvisò l’opportunità di staccare i propri aderenti dalle
unità in cui si trovavano, dato l’assoluto affiatamento raggiunto dai reparti e
la reciproca tolleranza sulle questioni politiche — almeno nella maggior parte
delle formazioni — e in considerazione anche della impossibilità di ottenere
questo frazionamento e questa differenziazione delle forze politiche senza
nuocere all’azione militare, che allora soprattutto importava. In tal modo,
elementi della Democrazia Cristiana rimasero nelle formazioni garibaldine.
Comunque una importante aliquota dei 15 mila partigiani che costituivano le
forze insurrezionali delle quattro zone liguri e del Comando Piazza di Genova
era di tendenze democristiane, così come democristiani erano molti dei
comandanti di grado più elevato: l’Intendente e Tesoriere del Comando Regionale
ligure, il Capo di S.M. del Comando Piazza di Genova, il Vice Com.te della VI
Zona Ligure, il Com.te di una Divisione e quelli di due Brigate, il Com.te
della Piazza di Albenga, ecc. Democristiano era pure il Com.te Bisogno, una fra
le più belle figure del movimento partigiano ligure, caduto per la liberazione
della sua terra e di cui oggi ancora si ricordano con immutate ammirazione e
commozione le fulgide e quasi leggendarie gesta. Sulle montagne della Liguria
tre sacerdoti caddero per portare l’assistenza religiosa ai loro partigiani.
Emilia
Esponenti della Democrazia Cristiana erano il Vice Com.te del
C.V.L. Nord Emilia e il Commissario Politico della stessa zona, il Vice Com.te
Regionale del Sud Emilia, il Com.te della Divisione Garibaldina Val d’Arda, il
Capo di S.M. della XIII Zona del C.V.L. di Piacenza, il Commissario politico
della I Divisione “Piacenza”, l’Ispettore del C.V.L. per il Nord Emilia e
l’Ufficiale di Collegamento tra il Comando Generale del C.V.L. e il Comando
Regionale Emiliano. Undici delle ventun Brigate del Nord Emilia erano
democristiane ed agivano in parte autonome ed in parte raggruppate nelle
Divisioni “Val Taro”, “Monte Orsaro”, “Ricci”, “Gruppo Brigate Cento Croci “.
Nel centro e nel sud dell’Emilia, la Democrazia Cristiana aveva messo in campo
altre brigate, quali la I e la II Brigata “Italia”, la Brigata “Orlandini” e
reparti minori autonomi. Complessivamente circa 8 mila uomini di cui ben 271
morti e 266 feriti in combattimento. Ottantatre partigiani furono presi ed
arrestati per motivi politici. Al nemico furono causate le seguenti perdite:
1612 morti e 731 feriti. Catturati 14.103 prigionieri. Fra le azioni di
sabotaggio ricordo: il deragliamento di un treno militare tedesco sotto la
ferrovia del Borgallone, che rimase ostruita per oltre tre mesi, e la sottrazione
della dotazione di “radium” dall’ospedale di Modena, effettuata d’accordo con
il Direttore. Furono prelevati 180 milligrammi di radium con il relativo blocco
protettivo di piombo, del peso di circa un quintale, senza che nessun sentore
del fatto giungesse alle numerose polizie operanti in città. In tal modo si
prevenne l’attesa requisizione tedesca del prezioso elemento. Il Commissario
Politico del Nord Emilia — l’on. Pellizzari — in pieno periodo di guerra, sotto
gli occhi del nemico e della sua sbirraglia, fondò sezioni della Democrazia
Cristiana in tutti i Comuni fra la Via Emilia e gli Appennini e tenne il primo
convegno pubblico dei democristiani di tutta la zona. Ancora nel Nord Emilia il
Comando Unico parmense, in comunicazione diretta con il Comando Alleato e
d’accordo con esso, dopo aver per un anno dominato tutta la zona tra gli
Appennini e il Po, in tre giorni di accanita battaglia, dal 7 al 10 aprile
1945, liberò tutte le città ed i paesi occupati dal nemico nelle retrovie del
fronte; fece prigioniere tutte le guarnigioni tedesche e liberò le strade
all’avanzata alleata, finita la quale consegnò agli alleati 17.800 prigionieri,
di cui almeno 8500 catturati dalle Brigate della suddetta Divisione. Sempre
nell’Emilia, non si può tacere di Don Anelli, parroco di Belforte in Val di
Taro, che due volte passò a piedi le linee e due volte le ripassò in volo
portando con il paracadute, al Comando Unico parmense i fondi inviati dal
Governo di Roma, ed assumendosi le più rischiose missioni. E Franco Franchini,
Ufficiale Ispettore del Commissario Politico Pellizzari, che, gravemente ferito
e fatto prigioniero dai tedeschi, entrò in Berceto su una barella, cantando:
«Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta». E oltre a questi autentici eroi, altri
non meno valorosi: Pestarini, i fratelli Cacchioli (alias Beretta), Giuffra,
Richetto, e centinaia ancora di cui a malincuore, per mancanza di tempo,
dobbiamo tacere i nomi.
Toscana
Nel marzo 1944 si costituì presso Massa la formazione
partigiana denominata “Gruppo Patrioti Apuani”, la quale poco più tardi già
riuniva 1.500 armati. La formazione ebbe una esistenza travagliata, in continua
lotta con il fortissimo presidio di Massa e con altre unità nemiche di
passaggio nella zona. Le condizioni di vita divennero ancor più difficili dopo
il settembre 1944, quando i tedeschi con reparti di SS e di carri armati, con
cani poliziotti e gas asfissianti rastrellarono e devastarono la zona, facendo
evacuare Massa, incendiando 35 paesi di montagna, uccidendo e bruciando donne e
bambini. In tali condizioni non è meraviglia se il gruppo ebbe oltre 180 morti
(il 12 per cento della forza) e 520 feriti (il 42 per cento della forza). Fra
questi si contano 130 mutilati ed invalidi. A Firenze, l’Avv. Francesco Berti
della Democrazia Cristiana, fino dal settembre 1943, iniziò, d’accordo con
altri esponenti del partito, la costituzione di formazioni militari
democristiane. Nella primavera del 1944 la forza dei gruppi organizzati ed
armati, nella città di Firenze, era di 200 uomini, all’epoca dell’attacco, era
salita a 800. Fuori città si costituirono il Raggruppamento Bande “Pio Borghi”
e la “Formazione Tricolore Perseo”, che riunivano nelle loro file
complessivamente 850 partigiani, bene armati ed addestrati. Dette formazioni
ebbero, in totale, 31 morti, 29 feriti e 27 arrestati per motivi politici o
catturati in combattimento. Inflissero al nemico, a tutto il 27 agosto 1944, 53
morti e 71 feriti, facendo 243 prigionieri. Alla liberazione di Firenze, alcune
bande della Democrazia Cristiana continuarono a combattere con gli Alleati
sulla linea del Mugnone, costituendo la Compagnia “Goffredo Mameli”. Non mi è
possibile parlare della resistenza nell’Italia Centrale, in quanto non mi è
nota, nei particolari, la situazione di quelle regioni; infatti il mio incarico
di Comandante delle Forze Partigiane della Democrazia Cristiana per l’Alta
Italia e di componente del Comando Generale C.V.L., mi ha posto in condizione
di conoscere a fondo il movimento partigiano solo nelle province situate al
nord della linea gotica. Riepilogando, il totale delle forze che combatterono
affiancate alla Democrazia Cristiana nel territorio di mia competenza, fu di 65
mila uomini, raggruppati in 181 Brigate o Unità corrispondenti. Tali effettivi,
con gli ausiliari e con le forze aggiuntesi nei giorni dell’insurrezione,
salirono a circa 80 mila uomini. Le perdite partigiane furono: 1.976 morti,
2.439 feriti, 337 prigionieri. Quelle nemiche: 4.057 morti, 2.631 feriti, 54
mila circa i prigionieri. Questo il contributo della Democrazia Cristiana alla
vittoria comune. Tali cifre, senza nulla togliere al valore delle truppe
alleate operanti in Italia, alle quali spetta il merito esclusivo di aver
spezzato la linea gotica ed annientato le più forti unità nemiche ed alle quali
va, ancora una volta, la nostra sincera e profonda riconoscenza; tali cifre,
dicevo, mostrano tuttavia, quanto l’avanzata alleata sia stata, in un secondo
tempo, facilitata da queste schiere di eroici partigiani — garibaldini,
democristiani, appartenenti alle Brigate “Giustizia e Libertà”, Matteotti, ed
Autonome — che, fraternamente uniti, non si limitarono ad attaccare le colonne
tedesche in ritirata, ma che tennero impegnata durante tutta la guerra
partigiana, fino a nove Divisioni naziste e la totalità delle forze
repubblicane, che furono così interamente immobilizzate nel Nord Italia. Tali
forze essi le logorarono e quindi le costrinsero a capitolare. Ho così
terminato questa rapida ed incompleta rassegna dell’opera della Democrazia
Cristiana e delle Formazioni Partigiane ad essa affiancate. Altre ancora
operarono nelle diverse regioni dell’Italia settentrionale, ma dovetti
rinunciare a comprenderle in questa breve rievocazione perché la difficoltà
estrema di vincere la naturale modestia e la riservatezza dei Comandanti mi
privò spesso degli elementi necessari a poter parlare, con sicura conoscenza,
di tali formazioni. Per capire ancora meglio quanto sia difficile convincere
questi nostri ragazzi a comunicarci la storia dei loro reparti, si aggiunga poi
la ripugnanza che il combattente — e soprattutto il combattente delle Bande
partigiane — prova a compilare delle “relazioni”, a congelare nel freddo schema
di un resoconto ufficiale lo slancio ardente e le appassionate vicende di una
lotta eroica, la quale ubbidiva più agli impulsi improvvisi del cuore che ai
saggi dettami della ragione; ma forse appunto perché questa sua apparente
irrazionalità il combattente partigiano potè osare e vincere anche là dove
nessun ragionamento, nessuna scienza militare avrebbe lasciato adito alla
speranza. Io non oso dunque asserire che le cifre riferite nel corso di questa
esposizione siano definitive e complete. Una sola cosa si può di esse
affermare: tutte furono accertate e controllate. Ma quanti altri dati potranno
venir ancora raccolti con una indagine più minuziosa, con un lungo e paziente
lavoro di ricerca presso i singoli comandanti delle minori unità, presso tutti
quegli umili e valorosi artefici della vittoria che sono i nostri partigiani.
Signori, io vi ho parlato oggi di quell’Italia che ha combattuto contro il
nazismo e contro il fascismo all’ombra della bandiera della Democrazia
Cristiana, ma quando si pensi che altri italiani furono al fianco di questi
nostri ragazzi e, pur sotto altre bandiere più o meno differenziate — nelle
Divisioni garibaldine, nelle Brigate Matteotti, nelle Brigate Giustizia e
Libertà, nelle Formazioni Autonome — gareggiarono con essi in valore e spirito
di sacrificio, affratellati nella più schietta collaborazione, allora vien
fatto di stupirsi che alcuno osi ancora oggi — dopo tante e sì mirabili prove —
dubitare della capacità del nostro popolo a reggersi da solo in forme di vita
democratica e libera. Ma ogni nostra Divisione, ogni nostra Brigata, fu un
piccolo capolavoro di collettività democraticamente retta, pur nella necessaria
disciplina imposta dalle esigenze militari del momento. Ogni nostra formazione
fu un miracolo di equilibrio e di moderazione, pur nella arroventata atmosfera
del combattimento, pure a contatto con quell’acre propaganda di odio e di
crudeltà con cui il governo repubblicano tentava di avvelenare gli spiriti
della gioventù italiana. Questi nostri partigiani che, grazie alle loro
convinzioni religiose, ed alla mitezza dei loro costumi, stabilirono dovunque
furono presenti un ordine civilmente cristiano, ci dicono con il muto, ma
eloquente linguaggio delle loro gesta che non bisogna disperare, che sono
ancora per noi disponibili nel fondo della nostra natura e dalla stirpe italica
inesauribili valori divini ed umani affidandoci ai quali ogni rinascita sarà
possibile. Noi democristiani, che fummo designati dalla fiducia di milioni di
italiani ad interpretare le aspirazioni di tanta parte del nostro popolo,
abbiamo anche la grave responsabilità di non venir meno all’aspettativa di coloro
che di questo popolo furono la parte migliore: i partigiani. Essi guardano a
noi con affettuosa simpatia, con la certezza che noi li comprendiamo, che li
accoglieremo fra di noi per aiutarli nelle infinite loro necessità, per
riscaldarli con il nostro affetto. Molti di essi hanno tutto dato; tutti furono
pronti a dare la vita stessa per la nostra Patria e per la libertà. Ad essi che
tutto hanno dato senza nulla chiedere, noi, che fummo dalla guerra immensamente
meno provati, mostriamo con i fatti la nostra profonda sincera imperitura
riconoscenza.
www.ildomaniditalia.eu articolo della redazione 25 aprile 2019
Citazione medaglia d'Oro al valor militare alla bandiera
«Nell’ora tragica della Patria, quasi inermi ma forti per sovrumana volontà, tutto sacrificando a un ideale supremo di giustizia, i Volontari della Libertà affrontarono la lotta ad oltranza contro la tirannide che ancora una volta opprimeva la nostra terra. in una sfida superba al secolare nemico, dall’esempio dei martiri e degli eroi del passato trassero incitamento per vincere o morire, innalzando nella lotta la bandiera invitta del Risorgimento. Appesi alle forche e sotto il piombo del barbaro nemico morirono intrepidi rinnovando il sacrificio dei Manara, dei Morosini, dei Mameli, dei Pisacane senza speranza di premio per sé, ma con certezza di bene per la Patria. Nuovo onore della Stirpe, i Volontari della Libertà sono, nella storia d’Italia, monito alle generazioni future.»
— Guerra di Liberazione, 1943 - 1944 - 1945.
|
lunedì 30 marzo 2020
Discorso del Presidente a Licata, luglio 2019
Il 10 luglio del 1943 sbarcarono
su questa spiaggia tre reggimenti di fanteria della Terza Divisione Americana, che ho
l’onore di rappresentare nella mia nazione, l’Italia, erano il 7° il 15° ed il 30°.
Tutto quanto ho fatto fino ad
oggi, fino a questo momento in cui parlo a voi, è nato dalla voglia di
raccontare gli uomini divenuti soldati, le loro gesta ed il loro sacrificio.
Da queste ricerche, fatte anche
sui soldati della Terza Divisione è arrivato un riconoscimento
dall’associazione che rappresenta negli Stati Uniti une delle divisioni più
amate, la Terza.
In seguito arrivò la richiesta di
riempire un vuoto che sentivano da tanto tempo; una sezione Italiana, in
quell’Italia dove erano sbarcati, prima a Licata, poi a Salerno ed infine ad
Anzio, con migliaia di caduti, feriti, dispersi e centinaia di medaglie.
In Sicilia sbarcarono 160.000 uomini,
con 285 navi da guerra, 2775 mezzi di
trasporto e 4000 aerei.
Migliaia di storie, migliaia di
vite, di affetti, fatte venire da lontano con un solo preciso messaggio,
liberare l’uomo dalla schiavitù, dalla tirannia.
La Terza Divisione di Fanteria
fece proprio questo messaggio nella prima guerra mondiale, in Francia e poi nel
secondo conflitto mondiale, attraversando il Nord Africa, l’Italia, la Francia
e la Germania.
In occasione del 76°
anniversario, sono onorato di rappresentare la Terza Divisione di Fanteria e
onorato di aver conosciuto qui a Licata persone come Carmela Zangara, Il Vice
Sindaco Angelo Vincenti, l’associazione Memento e tutte le persone incontrate in
questi giorni.
Come già fatto lo scorso 18
maggio, presso il cimitero Tedesco di Caira, a Cassino, in occasione del 75°
anniversario della battaglia, il pensiero va al nemico di ieri, che oggi ha la
mia stessa cittadinanza.
Lessi un giorno in un libro, del
fastidio che provavano gli stessi soldati della Terza Divisione nel vedere gli
Italiani a Palermo esultare al loro passaggio ed inveire contro i soldati
Italiani che sfilavano prigionieri, rei solo di rappresentare quello che si
voleva dimenticare al più presto.
Ma erano soldati, uomini,
Italiani e non posso iniziare il mio primo discorso da presidente della
Rappresentanza Italiana della Terza Divisione di Fanteria Americana senza
onorare la mia bandiera e ricordare il valore di coloro, che in condizioni di
assoluta inferiorità di mezzi, equipaggiamento e rifornimenti, non videro una
sola nave Italiana venire in loro appoggio, non un solo aereo Italiano volare
nel cielo e in alcuni casi non videro nemmeno un tedesco al loro fianco. Eppure
si batterono, per il giuramento fatto alla bandiera, alla nazione o solo per
l’onore del loro reparto, per il compagno che avevano accanto ed ebbero decine e decine di caduti, dimenticati
dalla storia, ma non dalle loro madri, dalle loro mogli, dai figli e da tutti
coloro che li conobbero come uomini.
A loro gli Onori
dell’Associazione della Terza Divisione di Fanteria.
Uomini vi dicevo, venuti dagli
Stati Uniti e sbarcati qui. Ma anche reggimenti che segnarono la storia della
Seconda Guerra Mondiale in Europa e che iniziarono da qui la loro avanzata.
Su tutti, tre storie di soldati,
tre storie di uomini e tre reggimenti.
Maurice Lee Britt, dell'Arkansas,
detto “footsie” “piedino” perchè aveva 47 di piede; il classico ragazzone
americano, campione di football, tanto da ottenere un ritardo nella partenza
per la guerra e venne arruolato nel 30° reggimento di fanteria della terza
divisione come ufficiale.
Conquistò subito la stima dei
suoi soldati già nel periodo dell’addestramento, li portò in battaglia nello
sbarco in nord Africa e si distinse subito per un’attacco verso delle postazioni
di cannoni nel castello di Fedala, che infierivano sui fanti americani che
sbarcavano.
Sbarcò a Licata e forte del suo
fisico, ottenne dai suoi uomini la più lunga marcia a piedi e nel minore tempo
fatta da un battaglione dell’esercito degli stati uniti, 87 km in 30 ore, da
Licata fino a Palermo, a luglio, con temperature oltre 40 gradi, senza acqua e
cibo e partecipando per primi ai combattimenti per la liberazione di Palermo.
Sbarcò a Salerno e nei pressi di
Acerno, attaccò da solo dei nidi di mitragliatrici che falciavano i fanti
americani e li distrusse, rimanendo ferito e meritando una prima medaglia, nei
giorni successivi salì da solo su monte San Nicola, senza ripari, per prendere un
suo soldato che era stato ferito da un cecchino ed era precipitato tre le rocce
riportandolo indietro, meritando per quest’azione una seconda medaglia.
A Monterotondo, a nord di Caserta,
sulla Winter Line, organizzò con pochi uomini la difesa di un settore del
monte, divenendo, come dissero i suoi soldati, un esercito di un soldato solo,
combattendo per tutto il giorno da solo e correndo per tutto il fronte
lanciando bombe a mano e sparando con tutto quello che trovava. La montagna non
fu riconquistata e alla fine di un battaglione rimasero in 5 su quella vetta.
Quando i tedeschi si ritirarono,
scese verso l’infermeria, con una scheggia nel piede, una nei polmoni ed una
ferita al braccio profonda fino all’osso, chiese al capitano medico solo una
fasciatura e della polvere disinfettante per tornare sulla vetta di quella
collina dai suoi uomini. Il capitano medico disse che quando usci dalla tenda,
tutti i soldati con piccole ferite decisero di allontanarsi dalla fila.. per
queste azioni ebbe la Medal Of Honor
Ad Anzio, dopo lo sbarco,
utilizzò la sua velocità per attirare il fuoco delle mitragliatrici e
permettere ai mortai di individuarle e si offrì volontario con altri 3 capitani
per una missione di ricognizione verso le linee tedesche.
Fu qui che si accorse del grande
contrattacco di carri armati in corso e organizzò il tiro dell’artiglieria
navale dalla sua posizione, in una vecchia casa semi distrutta. Un carro
tedesco sparò verso la casa dove era nascosto e lo scoppio gli portò via un
braccio.
La sua unica frase fu il
dispiacere di aver perso il braccio con il quale tirava il pallone da footboll
Fu quella la fine della sua
guerra, tornò a casa e divenne il secondo soldato più decorato della storia
degli stati uniti.
Era sbarcato a Licata.
Sbarcò a Licata anche Audie
Murphy, un ragazzino, un leone, faceva parte del 7° reggimento, combattè a
licata, e nei primi minuti dello sbarco perse subito un soldato, ucciso da una
scheggia di artiglieria, fece la stessa
strada degli altri, Sicilia, Salerno, Winter Line, Anzio, Roma, Francia,
Germania, fu ferito e decorato diverse volte, arrivò un giorno nel bosco di
Colmar in francia al confine con la Germania e si accorse che i suoi erano
tutti morti, era rimasto da solo; salì su un carro in fiamme ed inizio a combattere
contro un reggimento tedesco che stava contrattaccando. La fortuna era dalla
sua parte quel giorno, uccise oltre 200 tedeschi e rimase illeso, ottenendo per
le sue gesta la Medal of Honor. Alla fine della guerra tornò a casa e divenne
il soldato più decorato della seconda guerra mondiale, con 24 medaglie.
Era sbarcato a Licata.
Sbarcò anche Floyd K Lindstrom,
di Colorado Sprigs, Floyd ebbe una vita più tormentata, la madre fuggi dal
marito alcolizzato e violento e insieme alla figlia e Floyd, che aveva cinque
anni, si rifugiarono in una casa famiglia dove fece la lavandaia.
Floyd, dopo la scuola, entrò a
lavorare come camionista nei magazzini Soomers, distribuiva prodotti alimentari
nella costa ovest degli stati uniti, il suo sogno era di trovare un amore e
costruire un piccolo ranch in campagna. L’amore lo trovò subito in una
splendida ragazza, che neo giorni dell’attacco a Pearl Harbor mori per un
problema cardiaco. Per tutta la durata della guerra, finchè resto in vita,
Floyd chiese alla madre di mettere fiori sulla tomba e quando si accorse che a
casa non c’erano tanti soldi spediva tutta la sua paga per le necessità
familiari e per i fiori.
Pochi chilometri fuori Licata,
durante un attacco aereo si accorse che un camion , lasciato vuoto sulla
strada, senza freno a mano, stava per colpire dei soldati riparati, corse
sotto le mitragliate degli aerei togliendo il camion dalla strada salvando quei soldati, meritando la prima medaglia.
Raggiunse anche lui la winter
line, negli stessi giorni di Maurice Britt e di Audie Murhy, erano ognuno in un
battaglione diverso. Murphy al centro della valle era in pattuglia avanzata,
dall’altra parte del monte Maurice Britt combatteva da solo sulla collina e
lui, Floyd saliva per la montagna più alta, quasi mille metri, monte La Defenza, 4 ore di salita su un terreno difficile e con i tedeschi che sparavano
dall’alto. Arrivò sulla vetta con la sua mitragliatrice proprio nel momento in
cui i tedeschi contrattacavano e per evitare che uccidessero i suoi compagni più
in basso, si sposto in una zona più aperta, attirando su di se il fuoco ed
inizio a combattere con la sua mitragliatrice fermando l’attacco, quando si
accorse di aver finito i colpi, decise che la cosa più comoda era di prenderne
una ai tedeschi, avanzo strisciando con la sola pistola e uccise tutti i
tedeschi di una postazione prendendo la mitragliatrice e ritornando nella sua
postazione continuando a bloccare l’attacco. Per le sue azioni di quel giorni
ottenne la Medal of Honor.
Dopo lo sbarco di Anzio gli
dissero che c’èra la cerimonia per la consegna della medaglia e lui disse che
non avrebbe mai abbandonato i suoi soldati e parti per un attacco.
Quel giorno andò a male per
tutti, la terza divisione perse quasi 900 soldati, durante la ritirata Floyd
disse ai suoi amici di tornare indietro, lui avrebbe coperto la ritirata con la
sua mitragliatrice, i soldati si ritirano e furono salvi ma non rividero più
Floyd, colpito da una granata fu dato per disperso per oltre 5 mesi e ritrovato
il giorno prima dello sbarco in Normandia, il 5 giugno del 1944, riconosciuto
solo dalla sua piastrina.
Oggi riposta accanto alla sua
fidanzata e gli amici dell’American Legion, sezione 5 di Colorado Springs non le
fanno mai mancare i fiori…
Era sbarcato a Licata.
Il 7° il 15° ed il 30° entrarono in Germania, c’era solo A. Muphy, Britt aveva finito la guerra da un pezzo e Floyd
riposava a Nettuno.
Liberarono Monaco, Norimberga, la
città simbolo del nazismo, furono loro ad ammainare la bandiera dal balcone di
marmo bianco del reich.
E furono loro i primi a salire a Berchtesgarden, il rifugio delle aquile di Hitler ed ammainare le bandiera
nazista.
I tre reggimenti erano sbarcati a
Licata disseminando mezza europa di loro croci, ricevendo saluti, baci,
abbracci dalle popolazioni che man mano avevano liberato, fino ad arrivare in Germania.
Uno di questi tre soldati, Audie
Murphy, in una camera di albergo in Francia, dopo la fine della guerra, quando
stava per tornare ad essere un uomo e non più un soldato scrisse queste poche
parole, che sono secondo me il testamento del soldato, di qualsiasi colore,
bandiera o razza sia.
mercoledì 12 febbraio 2020
Pearl Harbor
Pearl Harbor
La portaerei USS Abraham Lincoln attraversa il Memoriale dedicato all' USS Arizona all'arrivo alla Joint Base di Pearl Harbor-Hickam, Hawaii, 8 gennaio 2020.
L'arrivo è parte di uno spiegamento in tutto il mondo che include un trasferimento della portaerei dal porto di origine a San Diego.
Tutto il personale della portaerei è schierato per rendere gli onori.
Hawaii, 8 gennaio 2020
La portaerei USS Abraham Lincoln attraversa il Memoriale dedicato all' USS Arizona all'arrivo alla Joint Base di Pearl Harbor-Hickam, Hawaii, 8 gennaio 2020.
L'arrivo è parte di uno spiegamento in tutto il mondo che include un trasferimento della portaerei dal porto di origine a San Diego.
Tutto il personale della portaerei è schierato per rendere gli onori.
Hawaii, 8 gennaio 2020
Reconnaissance Course
Reconnaissance Course
Navy Seaman Luke Jacobs, a student with the Basic Reconnaissance Course, Advanced Infantry Training Battalion, School of Infantry - West, begins the land navigation evaluation as part of the course’s individual skills phase at Marine Corps Base Camp Pendleton, Calif., Jan. 15, 2020.
Gli Onori ad Arlington
Soldati e Marine, danno la scorta funebre e gli onori militari per il soldato dei Marine, Pfc. Edward Nalazek presso il Cimitero Nazionale di Arlington, in Virginia, il 10 febbraio 2020.
Nalazek fu ucciso nel 1943 durante la Battaglia di Tarawa della Seconda Guerra Mondiale.
La Defense POW / MIA Accounting Agency ha annunciato che i suoi resti sono stati trovati lo scorso anno.
Nalazek fu ucciso nel 1943 durante la Battaglia di Tarawa della Seconda Guerra Mondiale.
La Defense POW / MIA Accounting Agency ha annunciato che i suoi resti sono stati trovati lo scorso anno.
Ben tornato a casa Edward, "sit tibi terra levis"
Iscriviti a:
Post (Atom)